Le migliori soluzioni pensionistiche
La pensione integrativa
A seguito della cosiddetta “Riforma Dini” del 1995 è stato abolito definitivamente il sistema di calcolo retributivo ed è stato introdotto quello contributivo: la pensione, dunque, dal 1995 in poi, non viene più a essere calcolata in base a quelle che sono le ultime retribuzioni di lavoro, ma si calcola in base ai contributi versati dal lavoratore durante tutta l’età contributiva. Considerando comunque la grande difficoltà dei giovani a inserirsi attualmente nel mondo del lavoro e la loro scarsa capacità di reddito nei primi anni in cui l’impiego viene trovato, in media, fra venti anni circa si potrà contare su una pensione che sarà pari alla metà dell’ultimo stipendio che è stato percepito. Ecco perché forse conviene al giorno d’oggi sottoscrivere una pensione di tipo integrativo.
Le spese relative alla pensione
Può sorgere in alcuni il desiderio di sottoscrivere una pensione soltanto con l’assicurazione, senza andare a spendere neanche un centesimo per l’Inps (l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale). È possibile uno scenario di questo tipo? Anzitutto, oltre al fatto che l’iscrizione alla stessa Inps è di fatto obbligatoria per tutti gli artigiani e i loro relativi collaboratori, costruire una pensione di tipo integrativo solamente mediante un prodotto assicurativo è, in linea di concetto e ragionando da un punto di vista squisitamente economico, un errore bello e buono proprio per i motivi appena elencati.
La soluzione migliore per integrare la pensione
Al giorno d’oggi lo Stato non assicura più una pensione che è commisurata al redito, ma più che altro ai versamenti che sono stati effettuati durante tutta l’età lavorativa. Questo cambiamento implica che il singolo lavoratore debba occuparsi in prima persona e quindi direttamente della propria pensione. La soluzione al problema si chiama pianificazione previdenziale. Essa prevede, nello specifico di: 1)calcolare la pensione pubblica che si andrà a percepire; 2)stimare il proprio fabbisogno pensionistico, vale a dire l’importo della rendita di cui valutiamo di aver bisogno in pensione (per esempio, mille euro al mese); 3)individuare la differenza fra la pensione che si desidera effettivamente e la pensione attesa (si parla in questo caso di “gap pensionistico”); 4)se a questo punto la pensione complessiva è ancora insufficiente per i nostri obiettivi iniziali, allora è necessario accantonare di anno in anno un importo determinato per raggiungere i propri target di rendita, al fine di conservare o di aumentare il tenore di vita; 5)poiché i risultati di una pianificazione previdenziale dipendono da una serie combinata di stime e quindi sono ampiamente soggetti ad un elevato margine di errore, è necessario effettuare una revisione ogni anno in base alla quale andare a modificare i versamenti ai sistemi di previdenza integrativa. Tutto questo specifico processo, per essere svolto in modo corretto, necessita di una serie di competenze integrate in campo normativo, fiscale e finanziario. È necessaria dunque una notevole conoscenza della normativa di settore per poter fare una pianificazione previdenziale che non corra il rischio di sottostimare o sovrastimare il gap pensionistico, con il rischio conseguente di far mettere da parte al lavoratore troppo o troppo poco. A questa deve aggiungersi una conoscenza finanziaria che sia adeguata per valutare gli strumenti attraverso i quali accantonare il proprio risparmio pensionistico che non è detto siano dei fondi pensione. Ovviamente, alla base di tutto ci deve essere l’assenza di ogni forma di conflitto di interesse: chi porta avanti una consulenza di tipo previdenziale non deve essere coinvolto, a nessun titolo, nella vendita o nella gestione dei prodotti finanziari per l’integrazione alla pensione.
La costruzione della pensione integrativa
La soluzione consigliata dal governo italiano è quella di crearsi una pensione complementare investendo il Trattamento di Fine Rapporto. In poche parole, si spera che nel lungo periodo (quindi almeno trenta anni) l’investimento del Tfr nei mercati finanziari andrà a rendere molto di più della rivalutazione annua del Tfr che è stato lasciato in azienda. Tutte le statistiche finanziarie infatti dicono che nel lungo periodo l’investimento azionario ha sempre reso molto bene. Tuttavia, le cose non stanno proprio così. È sufficiente pensare che i dati statistici validi su cui possiamo fare davvero affidamento partono dal 1800: si tratta quindi di 210 anni che divisi per il lungo periodo, quindi per trenta, fa esattamente sette dati. Abbiamo pertanto solo sette dati: sarebbe come voler studiare l’altezza media della popolazione italiana andando a studiare l’altezza di sette persone che passano a caso. La liquidazione relativa all’investimento del Tfr rimane dunque un vero e proprio punto interrogativo. Se però decido di puntare sulla previdenza complementare, i fondi chiusi (quelli di categoria) sono i più prudenti perché garantiscono la conservazione del capitale dei lavoratori. Per questo motivo essi possono rendere meno dei fondi aperti ma hanno due enormi e indiscutibili vantaggi: A)i costi di gestione sono molto più bassi sia dei fondi aperti che delle stesse polizze: B)il lavoratore riceve dall’azienda un contributo aggiuntivo che non è previsto in relazione alla maggior parte dei fondi pensione aperti.
SIMONE RICCI