Il lavoro atipico in Italia

Introduzione

Il crescente ricorso al lavoro atipico ha portato anche al problema della sua quantificazione. La recente diffusione dei paradigmi organizzativi postfordisti nei sistemi produttivi delle economie avanzate si è accompagnata con la continua creazione di nuove forme contrattuali che hanno consentito un notevole ampliamento dell’offerta, ma che richiedono anche un’accurata classificazione.

 

Una nuova classificazione dei rapporti di lavoro atipici

Negli ultimi anni, non diversamente da quanto è accaduto in altri paesi avanzati, il mercato del lavoro italiano ha subito profondi cambiamenti che hanno comportato una modifica non solo nel livello dell’occupazione, ma anche nella sua composizione. La crescente domanda di flessibilità da parte tanto delle imprese quanto di alcuni segmenti dell’offerta di lavoro ha portato alla diffusione dei rapporti di lavoro atipici. Nel tentativo di cogliere questi rapidi e rilevanti cambiamenti nella struttura del mercato del lavoro, un gruppo di ricercatori dell’Istat  ha sviluppato una nuova classificazione dei rapporti di lavoro, ideata allo scopo di consentire il monitoraggio del numero e della qualità dei numerosi e crescenti rapporti di lavoro atipici. La nuova classificazione è potenzialmente esaustiva e concettualmente semplice, così da soddisfare l’esigenza di una struttura concettuale comprensibile e capace di assicurare un approccio al tempo stesso analitico e flessibile alla misurazione statistica della nuova situazione segmentata del mercato del lavoro. La classificazione suggerita si basa su di uno schema concettuale che raggruppa i differenti rapporti di lavoro secondo tre principali criteri o dimensioni: i) il carattere di stabilità del rapporto di lavoro (permanente o temporaneo); ii) il regime orario di lavoro (a tempo pieno o parziale); iii) e, infine, il riconoscimento (intero, ridotto o nullo) di diritti sociali derivante dalla relazione lavorativa.

 

Una prima applicazione: i rapporti di lavoro atipici in Italia

Lo schema concettuale proposto, che raggruppa i diversi rapporti di lavoro secondo i tre criteri indicati (stabilità del rapporto di lavoro, regime orario e riconoscimento di diritti sociali), può essere usato per classificare i rapporti di lavoro atipici presenti in ogni mercato del lavoro, e quindi anche in quello italiano. Il tentativo di applicarlo al caso italiano rende evidente che esso può essere usato per classificare sia il lavoro dipendente che quello autonomo. Questa caratteristica risulta particolarmente significativa per una corretta rappresentazione del mercato del lavoro italiano, dove il lavoro autonomo da molto tempo svolge la funzione di tradizionale regolatore del volume di lavoro nelle fasi di recessione e di strumento per assicurare il giusto grado di flessibilità del lavoro. Molte posizioni lavorative che altrove sarebbero regolate da rapporti di lavoro dipendente in Italia hanno assunto le forme del lavoro autonomo, e spesso ciò accade ancora oggi. Tuttavia, l’applicazione senza qualificazioni della classificazione ai rapporti di lavoro autonomo potrebbe essere motivo di critica dato che, per un lavoratore autonomo, un’occupazione non stabile e/o ad orario ridotto potrebbe essere il risultato di molti e diversi motivi (l’incertezza nella scelta professionale, problemi di mercato, una temporanea preferenza personale ecc.), piuttosto che il frutto di un accordo esplicito tra lavoratore e committente strutturato attraverso un regolare contratto. Per questa ragione, pur senza sottovalutare l’importanza di una misurazione delle occupazioni indipendenti temporanee e ad orario ridotto, abbiamo scelto di limitare la nostra analisi ai soli casi in cui la prestazione di lavoro non subordinato è regolata da uno specifico accordo lavorativo, più o meno formalizzato, tra lavoratore e impresa: collaborazione occasionale o collaborazione coordinata e continuativa, associazione in partecipazione, lavoro a progetto e lavoro accessorio. Inoltre, proseguendo nella classificazione dei rapporti di lavoro, è possibile notare che alcuni di loro appaiono atipici solo in riferimento ad alcune caratteristiche peculiari, come la locazione lavorativa, la durata o la diffusione relativamente recente nell’ambito del mercato del lavoro italiano. Per questa ragione abbiamo ritenuto utile aggiungere ai tre principali un quarto criterio binario di classificazione, denominato “grado di atipicità” (“atipico in senso stretto” o “parzialmente atipico”), che può permetterci di seguire più analiticamente le caratteristiche e le trasformazioni nel corso del tempo dei rapporti di lavoro. Definiamo, pertanto, un rapporto di lavoro come “atipico in senso stretto” quando il tipo di contratto utilizzato è intrinsecamente diverso da quello standard (regolare, dipendente, a tempo pieno e durata indeterminata); mentre definiamo come “parzialmente atipico” un rapporto di lavoro regolato da un contratto molto vicino a quello standard, ma tuttavia caratterizzato da aspetti atipici nella prestazione lavorativa (luogo di lavoro, durata, ecc.). Per questo, abbiamo incluso nella classificazione tutti i rapporti di lavoro che sono caratterizzati da almeno una caratteristica di atipicità. Riferendoci alla situazione del mercato del lavoro italiano dopo il decreto legislativo n. 276/2003, si vanno a considerare tutti e quattro i criteri. Un prospetto di questo tipo indica anche se il rapporto di lavoro esaminato è di tipo dipendente o no (parasubordinato o autonomo). Questi rapporti di lavoro, previsti dal codice civile (art. 2549) possono regolare molte e diverse mansioni lavorative, ma individuano in ogni caso un contributo lavorativo necessario per l’attività economica dell’azienda. Essi sono utilizzati comunemente, specialmente nel commercio, dove molti lavoratori percepiscono una retribuzione proporzionale all’andamento delle vendite.

 

 

 

SIMONE RICCI