Il fenomeno mobbing

Introduzione

Di mobbing se ne parla molto spesso e forse a volte fin troppo a sproposito: ma qualcuno ha ben chiaro in mente di cosa si tratta esattamente? È necessario esaminare con attenzione questo fenomeno, quindi andiamo ad analizzarne i caratteri fondamentali e la normativa di riferimento.

 

Il mobbing

Nel corso degli ultimi anni, è indubbio come il fenomeno del mobbing sia divenuto sempre più un argomento di stretta e stringente attualità. Ma cosa vuol dire con precisione la parola “mobbing”? Il termine proviene dalla nomenclatura anglosassone, come è abbastanza evidente, più precisamente dal verbo inglese “to mob”, che significa letteralmente “attaccare, assalire”. Dunque, questa parola va a indicare tutte quelle forme di pressione psicologica, e non solo, che sono esercitate sul posto di lavoro a danno di un determinato dipendente: esso può essere esercitato in vari modi, soprattutto mediante degli attacchi ripetuti da parte dei colleghi (in questo caso si parla espressamente di “mobbing orizzontale”), oppure del datore di lavoro (il cosiddetto “mobbing verticale”). C’è anche da dire, comunque, che le forme in cui il mobbing si va a manifestare sono davvero molteplici: si va dalla diffusione di vere e proprie malignità alle critiche ripetute e reiterate (persino per i motivi più futili), dall’assegnazione di compiti che possono essere considerati come dequalificanti fino alla reale emarginazione da parte degli stessi colleghi o dei superiori. Esistono poi dei casi molto più gravi, in cui si può addirittura arrivare al sabotaggio del lavoro e a vere e proprie azioni dal carattere illegale.

 

Lo scopo del mobbing

Di solito, lo scopo principale del mobbing è quello di allontanare dall’azienda una persona specifica che è, o è divenuta, scomoda o sgradita per varie ragioni. Questo tipo di obiettivo, tra l’altro, viene a essere raggiunto attraverso la distruzione del soggetto dal punto di vista psicologico, in modo tale da provocare un licenziamento che sia giustificabile o, ancora meglio, in modo da indurlo alle dimissioni, senza provocare o far nascere un inutile caso sindacale. Le conseguenze che si vanno a riversare sulla vittima del mobbing e sulla stessa azienda sono spesso molto pesanti. Il soggetto che viene “mobbizzato”, infatti, accusa in casi molto frequenti dei problemi psicologici e in particolare dei veri e propri disturbi dal punto di vista psicosomatico e depressivo; nelle ipotesi più gravi, poi, il mobbing può portare all’insorgere di malattie professionali o anche di infortuni sul lavoro. L’azienda, quindi, si trova costretta a fronteggiare un calo più che significativo della capacità produttiva dei soggetti che sono coinvolti da questo fenomeno, con delle ovvie ripercussioni negative di natura economica.

 

Il quadro giuridico di riferimento

Se spostiamo la trattazione sul profilo giuridico, anche se bisogna subito precisare che non esiste una vera e propria legge specifica sul fenomeno del mobbing, nel ordinamento del nostro paese esistono comunque diverse norme, soprattutto all’interno della Costituzione, del codice civile, del codice penale e altre norme specialistiche, che consentono di riuscire a difendersi dai comportamenti persecutori che si verificano in ambito lavorativo. Approfondiamo dunque queste norme.

 

La responsabilità diretta e indiretta del datore di lavoro

La norma fondamentale e più importante quando si parla di mobbing è sicuramente costituita dall’articolo 2087 del codice civile (“L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”): dunque, viene posto a carico del datore di lavoro uno speciale obbligo di protezione del lavoratore, il quale non attiene solamente al profilo dell’integrità psico-fisica, ma anche quella della personalità morale. Quest’ultimo aspetto, in particolare, è stato troppo a lungo trascurato e dimenticato nel corso della storia, ma comporta che nel rapporto di lavoro venga rispettata la persona del lavoratore, sia in senso fisico che in senso psicologico, dunque un fattore non indifferente. Va evidenziato che non solo il mobbing verticale, ma anche quello orizzontale, possono essere imputati al datore di lavoro: infatti, la casistica rientra tra gli obblighi di quest’ultimo, il quale deve garantire che la serenità dell’ambiente di lavoro non sia turbata dai comportamenti di altri suoi dipendenti (come viene anche specificato dall’articolo 2049 del codice civile: Responsabilità dei padroni e committenti – I padroni e i committenti sono responsabili per danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti). Del resto, la responsabilità del datore di lavoro per questo tipo di comportamenti dei dipendenti viene motivata dalla facoltà che ha egli stesso di infliggere sanzioni dal punto di vista disciplinare (fino al licenziamento) a chi pone in essere degli atteggiamenti scorretti e vessatori nei confronti dei colleghi. In conclusione, quindi, il datore di lavoro che viene ritenuto responsabile di comportamenti che sono riconducibili, in via diretta o indiretta, al mobbing, sarà tenuto a risarcire tutti i danni provocati al dipendente da tale illegittimo comportamento.

 

 

SIMONE RICCI