I mutui immobiliari

Filomena Spisso
  • Autore - Laurea in scienze politiche

Come scegliere il mutuo

Il forte incremento delle compravendite immobiliari che si è registrato negli ultimi anni ha certamente una diretta relazione con il calo dei tassi di interesse che si è verificato verso la fine degli anni ’90: tale calo ha portato il tasso medio dei nuovi contratti di mutuo a livelli vicini al 5%. Nello scorso mese di giugno i tassi sono saliti al 5,75%, un livello record dal 2003. Un minimo storico in questo senso venne raggiunto nell’aprile del 1999: dunque, i tassi attuali sono in rialzo, ma rimangono tuttavia non confrontabili rispetto ai livelli toccati in anni ancora non lontani, caratterizzati da alta inflazione e alto costo del denaro. Per quanto riguarda l’Italia, uno dei maggiori e principali benefici dell’introduzione dell’euro è stato proprio il calo dei tassi di interesse e la possibilità conseguente per le famiglie di potersi indebitare a tassi del 5-6%, livelli che fino a solamente vent’anni fa erano assolutamente impensabili.

 

Aumenta l’offerta delle banche

Le banche, sia quelle italiane che le straniere, si sono nel tempo specializzate nella concessione dei mutui e, di conseguenza, hanno notevolmente ampliato l’offerta: alle tradizionali forme di mutuo a tasso fisso o a tasso variabile si sono aggiunte anche nuove tipologie, le quali hanno riscontrato notevole successo, come, ad esempio, i mutui a tasso misto, in cui il tasso non è predeterminato e identico per tutta la durata di vita dell’operazione, ma può, in base all’esercizio di un’opzione da parte del mutuatario, avere periodi in cui è fisso e altri, invece, in cui è variabile. Non mancano poi le offerte di mutui indicizzati ad altre valute o a tassi di interesse di divise non euro (prevalentemente si va a scegliere il franco svizzero): in questo caso, però, si tratta di operazioni strutturate di cui è difficile valutare la convenienza, come si dice nel gergo economico, “ex ante”. L’importo finanziato, grazie in particolare all’aumento della concorrenza tra le banche, è salito in misura considerevole rispetto al valore dell’immobile: già dopo il 2000 si era passati dal tradizionale 60% a punte dell’80-85%, livelli che hanno permesso al mercato italiano dei prestiti ipotecari di divenire molto simile a quello dei paesi anglosassoni. I mutui più diffusi nel nostro paese sono sicuramente quelli ad ammortamento costante, detti anche “alla francese“: la caratteristica di tale metodo risiede nel fatto che in ogni rata il debitore versa una somma costante, composta di una parte di capitale e di una parte di interessi. Via via che vengono pagate le rate di ammortamento, e che il mutuo si avvicina all’estinzione, aumentano le quote di capitale e diminuiscono le quote di interesse , che nelle ultime rate assumono un valore percentualmente minimo sull’importo complessivo della rata.

 

Tasso fisso o tasso variabile

Le due tipologie più diffuse di calcolo degli interessi sul mutuo, come abbiamo già accennato, sono quelle a tasso fisso e a tasso variabile, fatta però salva la formula intermedia dei mutui a tasso misto. Il mutuo a tasso fisso naturalmente è più conveniente nelle fasi in cui è prevedibile che il livello dei tassi di interesse degli anni futuri sia destinato ad aumentare. Significa quindi bloccare oggi un tasso che avrà vita per tutta la durata del prestito. Generalmente, i mutui a tasso fisso costano un paio di punti percentuali in più rispetto ai mutui a tasso variabile e hanno come base di riferimento il tasso di interesse swap calcolato sulla durata del prestito, maggiorato di uno spread. I mutui a tasso variabile prendono invece basi di riferimento diverse e solitamente nei contratti stipulati di recente il tasso di riferimento è l’Euribor a 3 o 6 mesi, maggiorato di uno spread che varia a seconda degli istituti di credito dall’1 al 2%. Nei mutui stipulati antecedentemente alla data di nascita dell’euro, parametri molto frequenti di indicizzazione erano l’indice Rendistato, il quale consiste in una media ponderata dei rendimenti dei titoli di Stato, il Tus, ovvero il Tasso Ufficiale di Sconto, o il “prime rate” (il tasso applicato dalle banche ai clienti migliori) dell’Abi, l’associazione che raggruppa gli istituti di credito. I mutui a tasso variabile cui si accennava precedentemente sono caratterizzati dalla possibilità di scegliere ad un periodo prefissato, in genere il secondo o il terzo anno e poi il quinto, se effettuare i rimborsi avvalendosi del tasso fisso oppure del tasso variabile. In tal modo, il debitore può cautelarsi per un certo periodo di tempo con un tasso fisso, se il costo del denaro tende ad aumentare, e di avvantaggiarsi scegliendo un tasso variabile, e quindi rate decrescenti, nel caso i tassi siano in diminuzione.

 

La durata del mutuo

Fino a non molti anni fa era molto raro che i mutui avessero una durata superiore ai 15 anni. Il calo dei tassi di interesse e l’aumento della concorrenza fra istituti di credito hanno invece portato le banche ad offrire mutui di durata anche ventennale o trentennale. Occorre tuttavia precisare che, se è vero che le rate di un mutuo ventennale o trentennale sono più “leggere” rispetto a quelle di un prestito con scadenza inferiore, la quota degli interessi pagati aumenta in modo esorbitante quanto più lungo si fa il periodo di rimborso.

 

 

Simone Ricci per BorsaeDintorni.it