Viaggio In Paradiso: Mel Gibson in cerca di libertà!
Un uomo in fuga dalla polizia e dagli scagnozzi di un signore della malavita. Così un rapinatore molto esperto, attraversa la frontiera con il Messico, solo per essere arrestato dalle autorità locali. Ma la sua identità è un vero mistero. Ha persino cancellato le sue impronte digitali. La polizia messicana quindi non può fare altro che impossessarsi dei suoi beni e rinchiuderlo nel carcere di Tijuana noto come El Pueblito.
Non è una vera prigione; somiglia di più ad un villaggio-baraccopoli dove la fanno da padrone la violenza e la corruzione. Il posto adatto per lui, che una volta arrivato stringe amicizia con un ragazzino di 10 anni, che ha il vizio del fumo. E’ il piccolo a fargli comprendere le dinamiche dominanti di quel luogo, dove gestisce tutto Javi, un ricco trafficante malato di cirrosi, a cui il ragazzino è condannato a dover donare il proprio fegato.
Un Mel Gibson vecchia maniera quello che vediamo in questo film, Viaggio in Paradiso, diretto da Adrian Grunberg. Un Gibson che torna nei ruoli in cui abbiamo imparato ad “amarlo”, quasi a volersi mettere alle spalle i suoi vizi ed eccessi dell’ultimo decennio, con alcune parentesi, non cancellabili, di violenza e razzismo. Il divo cerca dunque di risollevare le sorti di quella che pare una parabola discendente e lo fa trovando un ruolo che è la summa dei personaggi che lo hanno reso celebre. C’è tutto in questo Viaggio in Paradiso; Martin Riggs di Arma Legae, Porter di Payback ed anche qualcosa de L’Uomo Senza Volto. Un appello alla nostalgia, personale e forse anche del pubblico. Tutto il film è costruito intorno a lui e sicuramente, oltre ad essere protagonista e produttore, ha curato in parte anche la regia, dal momento che ha scelto come regista quello che fu il suo assistente in Apocalypto e Fuori controllo.
Un tentativo che a conti fatti poteva andare ben peggio. Gibson è stato capace di mantenersi fedele a se stesso, pur buttando un occhio sulle più recenti tendenze degli action movies.