L’Uomo che Verrà: recensione
Siamo vicino il Monte Sole, sugli appennini emiliani non lontano da Bologna.
Le truppe naziste occupano il territorio e i giovani del posto si organizzano per ribellarsi.
Martina, una ragazza di un piccolo paese, assiste alla guerra e ai bombardamenti impassibile.
Ormai la sua vita ha perso di senso da quando il fratellino neonato le è morto tra le braccia. Martina non parla, vuole solo un altro piccolo pupo che riesca a scacciare tutti i suoi sensi di colpa.
Settembre 1944. I nazisti si trovano a Marzabotto e compiono
una delle stragi più sanguinose delle seconda guerra mondiale. Quasi ottocento civili vengono riuniti nelle case e fucilati senza pietà.
L’Uomo Che Verrà, diretto da Giorgio Diritti, va a pescare direttamente dalla storia italiana, in una delle pagine più nere. Ricostruisce il massacro ma riesce a non essere mai troppo didascalico.
Il tutto è visto dagli occhi di Martina, che sembra affatto spaventata da guerra.
La regia di Diritti è notevole, dinamica, ruota efficacemente piani sequenza, telecamera a spalla e inquadrature fisse. Solo nel momento del massacro non può fare a meno di utilizzare una slow motion.
La sua cinepresa indaga sulla tragedia, coinvolgendo completamente lo spettatore. Le sue inquadrature larghe sono come altri occhi che cercano di scappare, ma si trovano in una realtà già scritta, da cui non possono fuggire.