Festival di Cannes 2011: un inno al Giappone con Hanezu No Tsuki di Naomi Kawase
Siamo giunti all’ottavo giorno del Festival di Cannes 2011, miei cari cinefili (proprio vero che il tempo vola!) e in programmazione per oggi ci sono Melancholia di Lars Von Trier (uno dei favoriti alla Palma d’Oro) e Hanezu No Tsuki della giapponese Naomi Kawase.
Inutile dirvi che ho scelto di parlarvi della seconda pellicola, vero?
Partiamo col dire che Hanezu No tsuki è il riadattamente di un romanzo dello scrittore Masako Banzo, il quale si svolge in un villaggio di nome Asuka che, per chi non lo sapesse, è stato un antico centro politico e culturale, situato nella prefettura di Nara e riconosciuto da tutto il Giappone.
Ed è proprio qui che si svolge la storia. In una cornice che è specchio di uno Stato (come lo conosciamo) sospeso fra le sue antiche tradizioni, alimentate da radici forti e dure e un presente che sembra non trovare appiglio, fuggendo così verso un futuro ancora ignoto.
Takumi e Kayoko, sono i nostri protagonisti. Un uomo e una donna semplici (eppure complessi) come ce ne sono tanti (forse), che cercano semplicemente di vivere. Di andare avanti trovando un senso alle cose che accadono. Da un certo punto di vista il loro è un proseguo di una storia arcaica che rievoca diverse esistenze, le quali hanno transitato sulla Terra molto tempo prima, lasciando però qualcosa che può essere trasmesso a chi lo sappia (e lo voglia) cogliere.
Ma non è facile capire e saper “ascoltare” per le nuove generazioni che abitano ora un luogo a cui per secoli, nel passato, ci si dedicava alla contemplazione e all’attesa che i desideri e i sogni prendessero vita, realizzandosi. Tutto ciò, al mondo d’oggi, sembra non interessare, come se in un attimo avesse perso tutto il suo valore. E forse proprio lì risiede il problema. L’aver dimenticato chi e cosa ci hanno preceduto non permette di assaporare fino in fondo quello che accade, il significato di ogni cosa e di ogni singolo giorno, rendendoci così incapaci di vivere appieno nel presente…
Ecco qui di seguito i due “trailer in bootleg”:
httpv://www.youtube.com/watch?v=DWCZXHIQMp0
httpv://www.youtube.com/watch?v=jWknM3KWbiU
E’ senza dubbio uno spaccato veritiero e non facile da narrare quello che ci offre Naomi Kawase, vincitrice del Grand Prix nel 2007 con il film Mogari No Mori. Scegliendo di lavorare con due interpreti quali Tohta Komizu e Hako Ohshima, la regista ci offre una visione direi quasi “intima” (nel senso più puro e delicato del termine) della vita di due abitanti di questo rinomato villaggio, situato in una delle più suggestive regioni del Sol Levante. E lo fa offrendoci una verità che è quasi tangibile attraverso lo schermo. Presenta senza maschere, trucco o indugi e mediante una miriade di particolari ognuno dei quali significativi, come importante è qualsiasi cosa nel mondo orientale. Ogni gesto, ogni parola, ogni manifestazione dell’uomo e della natura. E non mancano le metafore, certo, che piacciono tanto a tutti, ma che forse in questo contesto sono fin troppe, soffocando a tratti la naturalezza degli avvenimenti.
Diciamo che la visuale cinematografica della Kawase è poetica, in una parola. E come nelle sue opere precedenti si ha la netta sensazione del bisogno. Della ricerca di un qualcosa che va al di là dello spazio che ci circonda. Magari legato a un amore o a un affetto mancato o perduto per sempre e a cui sembra che non si voglia trovare rimedio.
Non fatevi comunque ingannare da questo scenario concesso a colpi di pennello, perchè come ho detto prima la pellicola trasmette attraverso il racconto non una sola realtà, ossia quella presente, messa però in risalto dalle due figure al centro della scena che seguiamo dall’inizio alla fine, dove una modernità in contrasto con un sottofondo legato alle antiche origini la fa da padrona.
Un inno al Giappone, dunque, con scene e paesaggi che ci proiettano del tutto all’interno di uno Stato che è assai “grande”, pur essendo così piccolo…